Chi siamo , cosa facciamo qui e dove andiamo , leggete qui per avere le risposte

In questi anni , uso e scopo del blog sono variati , al variare delle esigenze degli aderenti .
Inizialmente era una semplice bacheca dove postare i vari appuntamenti , poi con il contributo di alcuni , è andato via via arrichendosi di esperienze personali, racconti di viaggi e di improvvise sterzate date alle proprie passioni e alle proprie vite.
Crediamo che così sia diventato più interessante o comunque più partecipato. In ogni caso , per saperne di più sul blog e sul nome che ci siamo scelti, andate a leggervi il primo post del gennaio 2008. Ci potete arrivare comodamente dalla cronologia dei post, sulla colonna di destra.

Rimangono, anzi sono fondamentali, gli appuntamenti dei nostri incontri e le foto su picasa webalbum .

Se volete informazioni, o per brevi comunicazioni, usate il modulo di contatto.
Se invece volete inviare un racconto o un post,oppure una serie di immagini, usate il solito indirizzo che quasi tutti gli aderenti conoscono, vale a dire motosupposta@tiscali.it .

Anche l'aspetto grafico è cambiato , seguendo le esigenze visive di chi scrive . La nuova versione è decisamente più facile da leggere senza occhiali e , ma è una scusa , più semplice da usare con tablet e cellulari.

L'esortazione è sempre la solita : " Dateci dentro "...nel senso di non esitare a scrivere delle vostre esperienze e delle vostre passioni motociclistiche ( ma anche di quelle collaterali ).

Scrivete delle ferie in moto di questo e del secolo passato, di un fine settimana a due ruote o di quello che avreste voluto e non è stato. Scrivete di quanto sia unica la sensazione che questo mezzo arcaico ci regala ad ogni uscita, e di quanto " trasporto " abbiamo per tutto questo.



Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale aisensi della legge n 62 del 7/3/2001.

Prego, qualora si vogliano pubblicare parti di questo blog ( foto,testi o altro ) di citare la fonte . In caso contrario la pubblicazione non deve considerarsi autorizzata.

martedì 21 dicembre 2010

Ecco un nuovo racconto di Marco : ASPES – OVVERO: SENZA SPERANZA

L’arrivo in casa del primo motorino (correva l’anno 1969), rappresentò per tutta la famiglia un evento eccezionale.


Mio padre non era mai salito su una moto e la pretesa di mio fratello di possedere un ciclomotore fu subito vista con molta diffidenza.

La ricerca del modello “papabile” doveva trener conto, per i miei genitori, prima di tutto, della sicurezza, in secondo luogo del prezzo di acquisto; per mio fratello (e per me che, ancora tredicenne, già mordevo il freno per la voglia di un motore da cavalcare) la priorità era, inevitabilmente, il “quanto fa”.

La scelta cadde alla fine su un Aspes motorizzato Minarelli che il concessionario garantì, a mio fratello, superare i 90 kmh, mentre, a mio padre, essere perfettamente a norma e, quindi, non superare i 40.







Chiunque avesse avuto minima cognizione di causa si sarebbe immediatamente reso conto che con un carburatore da 19 mm. (si vede bene nella foto) difficilmente il mezzo sarebbe potuto rimanere nei limiti del codice della strada, ma, come detto, il babbo mai aveva avuto a che fare con mezzi con meno di quattro ruote e, quindi, convinto di quanto affermato dal venditore, staccò il fatidico assegno e l’affare venne concluso.

In effetti la motoretta aveva un bel caratterino e teneva testa anche ad alcuni più blasonati 125 dell’epoca.

Oddio, per andare, andava. Non bisognava poi pretendere di fermarsi in spazi ragionevoli perché i freni (rigorosamente a tamburo avanti e dietro) erano più che altro messi lì per bellezza.

Dopo circa un anno dall’acquisto l’Aspes divenne mio perché mio fratello, forte della sua “rilevante esperienza motociclistica”, si fa per dire, maturata in quel periodo in sella ad un simile mostro, pretese ed ottenere l’acquisto, da parte dei miei, di una ben più qualificante e prestazionale Gilera 124 5V che in seguito sarebbe anch’essa diventata mia.

A quell’epoca era abitudine passare ai fratelli minori ciò che i maggiori scartavano, moto comprese.







“Aspes”, in quel periodo, era sinonimo di competizioni nel cross, di tecnologia avanzata e comunque era, come si usa dire oggi, un “brand” che dava un certo lustro.

Solo per un amico (ora illustre professore universitario di medicina legale) “Aspes” era sinonimo di “senza speranza” come, secondo lui, memore di studi classici, avrebbe indicato l’etimologia della parola composta da “a “ (alfa privativo) e “spes” (che in latino vuol dire speranza).

Più che una battuta di spirito, questa uscita si dimostrò, in seguito, una vera e propria iellata profezia.

Dopo un felice periodo nel quale l’Aspes mi fu compagno di scorribande, scampagnate, tragitti scuola casa e ritorno, trasporto incosciente di compagne di classe le cui madri mi affidavano le loro pulzelle perché “si fidavano di me” (non ho mai capito se quella frase fosse un complimento o un velato insulto che nascondeva la convinzione che ero del tutto innocuo e che non sarei mai stato in grado di insidiare la loro prediletta), la profezia iniziò a verificarsi in un giorno luminoso di giugno quando, mentre girellavo per borgo Trento, trasportando come passeggero il mio amico Paolo Zamboni, entrambi ovviamente senza casco (all’epoca non usava) ed entrambi con i capelli al vento (all’epoca li avevamo ancora entrambi, i capelli), venni affiancato, in via Risorgimento, da una 128 verdina dal cui finestrino sbucò improvvisamente, davanti al mio naso, una paletta con su scritto “Ministero dell’Interno – Polizia di Stato” accompagnata dalla frase perentoria “Libretto e carta d’identità. Entro mezz’ora in questura”.

Primo effetto collaterale di quanto mi era successo fu, da parte di mio padre, quando venne a saperlo, un manrovescio terra-aria che, da me intuito al momento del decollo, fu prontamente evitato senza però poter impedire che andasse a schiantarsi sulla faccia del mio amico Paolo Zamboni che, nell’occasione, si trovava esattamente dietro di me proprio come era sul motorino al momento del fermo.

Secondo effetto, non collaterale, fu il sequestro del motorino, la denuncia nei confronti di mio padre per “incauto affidamento” di motociclo e nei confronti del sottoscritto per guida senza patente.

L’Aspes, infatti per le prestazioni che era in grado di fornire, sarebbe dovuto essere targato, dotato di impianto di illuminazione a norma per i motocicli, e guidato da titolare di patente abilitato e dell’età minima di anni sedici. Tutti requisiti che, naturalmente, non ricorrevano.







La fedina penale mia e di mio padre vennero irrimediabilmente ed ignominiosamente macchiate.

Mio padre venne imputato del reato di cui all’art. 79 del codice della strada e condannato ad una ammenda di £ 10.000 oltre alle spese di procedimento.

Da parte mia ottenni, dal Tribunale dei Minori di Venezia, il “perdono giudiziale” in quanto minorenne e pure un po’ mona.

Nessun perdono ottenni da mio padre il quale mi inibì, per un discreto periodo, l’utilizzo di qualsiasi mezzo di trasporto che non fosse strettamente “pedestre”.

Se avessi saputo allora che guidare un motorino un po’ oltre le righe mi avrebbe procurato guai ben più seri che tirare un Duomo di pietra in faccia al premier, avrei seriamente pensato sin da allora a come impostare la mia esistenza futura.







La losca predizione dell’amico classicista ebbe infine pieno compimento allorchè, dopo quasi quattro anni di sequestro, venni convocato presso il deposito dei Vigili Urbani per ritirare il mio amato mezzo che trovai, ovviamente, in condizioni pietose.

Non volendomi rassegnare ad una così triste perdita, feci di tutto per rianimarlo: massaggio cardiaco al pistone, respirazione bocca-a-carburatore, elettrostimolazione alla candela. Tutto inutile; ogni tentativo non sortì alcun effetto.

Fu così che un giorno, preso dall’esasperazione volli provare a fare come avevo visto in televisione dai vari Agostini, Saarinen e Pasolini.

All’interno dell’area di manovra del garage di mio padre, dopo aver inutilmente consumato le suole sulla pedalina di avviamento, diedi di “cicchetto” senza risparmio, ingranai la prima a mi misi a spingere a tutta forza salendo in sella di traverso, al volo, per dare presa alla ruota posteriore.

Dopo alcuni esperimenti senza esito, il cilindro era pieno di miscela.

All’ennesimo tentativo, il buon vecchio Minarelli emise improvvisamente una specie di rantolo soffocato, si avviò di colpo a tutta manetta, provocando una partenza da gran premio e, mentre io finivo a terra, il povero Aspes finiva miseramente, a tutta velocità contro il muro del garage, dove la forcella anteriore rimase fotografata, assieme alla ruota anteriore, per lungo tempo.

Da quel momento il motore tacque per sempre.

L’ultimo viaggio fu nelle mani di un conoscente che, affermando che l’avrebbe rimesso a posto, si portò via, letteralmente a spalle, il compagno di tante avventure non senza avermi passato, sotto banco, venticinque mila lire.

La profezia si era avverata. ……… “Senza speranzaaaaa……..”

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